La rinascita delle storiche ‘buchette del vino’ a Firenze

Nascono a Firenze nella seconda metà del 1500, in pieno Rinascimento, per la vendita diretta del vino dal produttore al consumatore. Ai lati dei palazzi signorili delle grandi famiglie della città, si aprivano queste porticine che servivano a vendere un bicchiere di vino, e in certi casi addirittura un fiaschetto, ai viandanti di passaggio. Un sistema molto utile, oltre che conveniente, perché permetteva di smerciare il vino senza dover pagare alcuna tassa al Governo perché era una vendita dalla produzione familiare e quindi esente. Tale convenienza si rifletteva anche sui clienti, perché il vino poteva essere venduto a un prezzo più basso rispetto a quello offerto nelle osterie. Ma non servivano solo come luogo di scambio tra i proprietari di vitigni e i vari clienti: capitava infatti che da queste porticine venissero offerte anche eccedenze alimentari ai più poveri. Spesso erano dunque usate dai padroni per fare beneficenza ai bisognosi, passando loro fiaschi, e oltre ai generi alimentari, anche qualche moneta.

Queste buchette del vino si dimostrarono molto utili per il distanziamento durante la peste che devastò la città dal 1630 al 1633. Furono 3 anni terribili per la città e queste aperture furono importanti per limitare la diffusione del contagio proprio perché la gente prendeva ciò che doveva prendere – il fiasco di vino, il bicchiere di vino – e nel momento in cui andava a pagare gli veniva allungata una vaschetta con dentro dell’aceto, in modo che le monete che venivano inserite in questa vaschetta venissero disinfettate. Quindi, quanto di meglio si poteva fare all’epoca per cercare di contrastare quella terribile epidemia.

 

Molte di queste buchette sono state murate durante il restauro degli edifici, alcune addirittura lasciate sotto l’intonaco, ma ad oggi se ne contano circa 180 di cui 145 nel centro storico di Firenze. Ogni finestrella corrisponde a uno stile – anche architettonico – diverso perché di fatto era l’affaccio sul mondo di una cantina signorile. Dietro il passaggio c’era sempre dietro il passaggio c’era sempre una stanzina piena di botti e un servo della casata pronto a mescere. Talvolta si notano ancora i battenti per richiamarlo, qualora si fosse distratto. Non solo, per evitare degli assembramenti davanti alla buchetta, come succede oggi con la movida, visto l’enorme successo di questa iniziativa fu necessario regolamentare la mescita da degli orari. Ci sono alcune buchette in città che hanno scritti sopra, incisi nella pietra, gli orari di apertura. C’erano solo due eccezioni che si potevano fare fuori dagli orari di vendita, che erano nei confronti delle donne che avevano appena partorito o che erano magari incinte e avevano bisogno di ‘fare sangue’, come si dice, e i soldati che partivano per un’azione militare; potevano bussare anche durante la notte.

Oggi, nel periodo di questa pandemia, la riapertura di alcune di queste buchette che alcuni gestori di locali hanno riutilizzato proprio per vendere in modalità anti-contagio attraverso questo foro ha permesso di servire bevande e non solo durante il periodo di lockdown. Praticamente i clienti non hanno nessun contatto con l’esercente: bussano, il proprietario si affaccia, loro dicono cosa vogliono (un bicchiere di vino, rosso, bianco, uno spritz, un gelato) e gli viene passatto accompagnato dallo scontrino della vendita.

Le buchette riaperte e funzionanti non sono tantissime anche perché non è detto che il palazzo dove erano presenti all’epoca sia stato poi convertito in un ristorante, osteria o comunque in un’attività atta all’asporto. Vivoli, storico gelataio in via dell’Isola delle Stinche, è stato il primo ad attivarsi durante l’emergenza, consentendo ai clienti di ritirare gelati e caffè dalla buchetta. Tra gli altri, anche l’Osteria delle Brache, in piazza Peruzzi, il locale ‘Babae’ in via Santo Spirito, hanno ripristinato questa antica tradizione, e altri locali nel centro storico, sia bar che ristoranti, stanno seguendo quest’esempio.

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