Una volta era ‘colpa’ degli abusivi

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Una discussione molto presente in questo periodo sui social e tra colleghi che lavorano nel settore ‘matrimonio‘, è quella riguardante l’invasione di fotografi stranieri che si propongono per realizzare servizi foto e video in Italia. Spesso si offrono a prezzi molto bassi – rispetto alla media italiana – talvolta solo a rimborso spese giustificando questa scelta con la necessità di crearsi un portfolio per vendersi, poi, come destination wedding photographers e tornare nel loro paese con una sorta di medaglia da prestazione.

Analisi del ‘problema’

Volevo fare un piccolo riassunto delle problematiche e ragionare sulle possibili soluzioni a questa situazione considerata da molti, fonte di legittime preoccupazioni.

Un dato di fatto, numeri alla mano, è che il fotografo di matrimonio, una volta isola felice nel panorama delle professioni legate al mondo della fotografia, non stia attraversando uno dei momenti migliori. La diminuzione delle coppie che decidono di sposarsi vede paradossalmente aumentare il numero di fotografi che si offrono per immortalare il grande giorno. Questo trend va ormai avanti da diversi anni e sembra non arrestarsi. Non voglio entrare nel merito del perché ci si sposa sempre meno, probabilmente ci sono dei fattori socio-economici che determinano tale andamento, ma voglio riflettere sul mercato dei fotografi.

Certamente l’avvento del digitale e la semplificazione nell’utilizzo dei programmi di elaborazione dell’immagine ha enormemente allargato la platea di coloro che si sono avvicinati al mondo della fotografia. I social, poi, hanno fatto da cassa di risonanza a centinaia di colleghi che condividevano post dove si ritraevano in location magnifiche, che andavano a fare il servizio fotografico come fosse una scampagnata con amici e animavano Instagram e Tik Tok di stories dove si riprendevano mentre bevevano e ballavano con gli sposi a fine serata come a testimoniare una degna chiusura di una giornata passata all’insegna del divertimento.

Credo che questi elementi sommati all’evoluzione delle macchine fotografiche, sempre più performanti e facili da usare, abbiano contribuito ha creare l’illusione che fare il Fotografo sia una professione al limite del banale e alla portata di tutti. Non necessita di un diploma, non ha bisogno di avere una cultura nel merito, è sufficiente fare qualche workshop sulla post produzione e via si è pronti a diventare ‘photographer‘ (problematica condivisa anche in altre professioni sempre nel settore wedding: dopo aver organizzato il matrimonio della cugina, ci si sente pronti a fare la wedding planner).

Questo è il primo punto su cui riflettere. Siamo stati noi stessi a gridare quanto sia bella e facile la nostra professione attirando così prima l’invidia e poi la voglia di imitare. Io non ho mai sentito né visto un dentista, un muratore, un idraulico, un avvocato condividere un reel dove canta felice – alla stregua dei nani di Biancaneve – il suo andare a lavorare . 

Quindi iniziamo con smontare questo falso mito. La Fotografia di Matrimonio è una cosa seria. La responsabilità di un fotografo al quale viene commissionato di raccontare e documentare l’evento è enorme. Se sbagli non c’è una seconda chance, non puoi applicare il piano B al servizio, deve essere ‘buona la prima’. Lavorare 8, 10 alcune volte 12 o 14 ore in un giorno è stancante e non solo fisicamente. L’attenzione deve essere sempre massima. L’empatia con i soggetti importantissima. Il sorriso non deve mai mancare così come la professionalità. Pioggia, vento, temperature gelide o torride non sempre le condizioni ambientali aiutano, ma il servizio dovrà essere comunque al meglio delle tue possibilità.

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Molti degli eventi si svolgono nei fine settimana e in un periodo dove gli ‘altri’ vanno in vacanza o sono in ferie. Se poi hai dei figli e una famiglia sei costretto spesso a sacrificare i tuoi rapporti e a rinunciare alle ‘gite fuori porta’ perché sei al lavoro. Gli amici di sempre li frequenti, tuo malgrado, più raramente e sei quasi costretto a circondarti di colleghi. Non è un caso che molti fotografi di matrimonio siano marito e moglie. Non che sia una cosa brutta, ma alla fine rischi di non ‘staccare’ mai e di ritrovarti a parlare continuamente di macchine fotografiche, obiettivi e aneddoti sulla fotografia. Per carità non voglio certo paragonare il Fotografo di matrimonio a un operaio in miniera o in catena di montaggio, ma sottolineare che non è tutto rose e fiori come spesso viene percepito e ‘pubblicizzato’.

Da questa mia analisi, più o meno condivisibile ci mancherebbe, si capisce il perché della forte crescita, in generale, dell’offerta di fotografi nel settore matrimonio attirati dal mito di soldi facili a fronte di un impegno al limite del ridicolo: in fondo è un divertimento e si mangia gratis.

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Destination wedding photographers

Proviamo adesso a capire il fenomeno dei fotografi ‘stranieri’ che vengono dall’estero a fare servizi in Italia, aspetto che si è enormemente ampliato negli ultimi anni.

Credo sia capitato più di una volta a coloro che lavorano con i destination wedding, di sentirsi dire dalla wedding planner che la coppia si porta un fotografo dal loro Paese. Le giustificazioni più comuni sono che si tratta di un amico di famiglia, che il servizio è stato regalato agli sposi da un parente, che lo ‘zio’, appassionato di fotografia, si è offerto di fare un presente di nozze. Per carità può essere tutto vero, però spesso sono delle scuse che sottendono il fatto che il fotografo scelto si è proposto sottocosto e/o a rimborso spese: fa figo mostrare di aver fatto un matrimonio in Italia una volta che si torna nel proprio paese. Anche in questo caso un piccolo esame di coscienza andrebbe fatto. Quanti fotografi italiani hanno fatto la stessa cosa? Certamente ci saranno – e ci sono – dei duri e puri che hanno resistito dal farlo, ma come dare contro a un fotografo, magari alle prime esperienze, che si propone alla coppia a una cifra irrisoria per farsi un portfolio a Parigi piuttosto che a New York? L’indignazione dovrebbe essere biunivoca.

Possibili soluzioni

Si può arginare e limitare la presenza di ‘stranieri’ nel nostro Paese e nel contempo tutelare il fotografo residente in Italia?

Naturalmente se si tratta di lavoro gli adempimenti fiscali devono essere rispettati in sintonia con le leggi che regolano i rapporti professionali nei vari paesi dove si esercita. E questo può essere un primo passo da prendere in esame. Sensibilizzare, quindi, gli organizzatori di eventi, le strutture ricettive e le autorità comunali, i luoghi dove si svolgono le cerimonie (una volta in alcune chiese il fotografo doveva mostrare un tesserino rilasciato dalla curia dove si certificava di essere un professionista e di aver fatto un piccolo corso atto a spiegare i vari momenti della celebrazione onde rispettare la sacralità dell’evento) potrebbe aiutare a limitare l’ingresso ‘lavorativo’ di coloro che non sono in regola.

[Leggete i seguenti screen shot che trovo molto interessanti.]

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Chi può essere delegato a interfacciarsi con queste realtà? Credo che singolarmente diventi una lotta donchisciottiana, mentre tanto potrebbero fare le associazioni di categoria che, raccogliendo un numero di iscritti significativo, potrebbero avere un peso relazionale importante con le suddette istituzioni e location.

Sul problema dei bassi costi a cui si offrono vari professionisti oltreoceano o dell’Est Europa, o sulla presenza di colleghi facenti parte dell’EU, e quindi non vincolati da visti lavorativi, che si propongono a coppie che si sposano in Italia, credo si possa fare ben poco. Siamo in un libero mercato, non si può imporre un tariffario minimo, l’idea di fare un ordine dei fotografi a tutela della professione è una strada non percorribile (chi decide chi far entrare e in base a quale esame di ammissione?) e comunque non risolverebbe il problema degli ‘stranieri’ che, a meno di una risoluzione Europea (pura utopia), sarebbero ancora più agevolati in quanto non obbligati a farne parte.

Un discorso che fa storia a sé e che non ho preso in considerazione perché non coinvolto in queste dinamiche, è quello dei luxury wedding, mercato che invece non presenta crisi e che non soffre delle problematiche discusse. Un mondo in cui non è così semplice entrare e che si avvale di professionisti consolidati e referenziati.

Si può fare qualcosa?

A mio avviso, fermo restando l’importanza di sensibilizzare certe istituzioni come ho scritto poco sopra, sono altre le cose che ognuno di noi potrebbe fare in sintonia con un mercato che è decisamente cambiato rispetto a qualche anno fa’.

Prima di tutto basare il proprio business esclusivamente sul ‘destination wedding‘ cercando di intercettare solo coppie straniere che vengono a sposarsi nel nostro paese, oggi è sbagliato. Si dovrebbe cercare di consolidare la propria presenza sul territorio e cercare di lavorare anche con coppie della propria regione.

Quando si riesce a parlare direttamente in studio con i futuri sposi, mostrare loro degli album, capire se c’è sintonia con la coppia e rispondere vis-a vis alle loro necessità porta, oltre a lavorare meglio il giorno dell’evento, a chiudere più contratti. Gestire un destination spesso è solo rispondere a una fredda email con una serie di pacchetti offerti. Già arrivare a fare una call con degli sposi stranieri è un traguardo raro che spesso imbarazza perché gli italiani sono noti per non essere dei fluently english speakers.

Un marketing aggressivo, una buona SEO, una presenza costante sui social, un sito internet accattivante può aiutare. Così come il passaparola. Quindi penso sia importante mantenere sempre un atteggiamento professionale durante e dopo il servizio.

Fare ‘gruppo’, cosa molto difficile in un settore dove domina l’egocentrismo e l’egoismo. Collaborare scambiandosi eventuali date doppie – ovviamente d’accordo con i futuri sposi – e aiutandoci con suggerimenti e consigli.

Studiare fotografia e non solo dal punto di vista della tecnica – assolutamente importante – ma non sufficiente. Lo studio permette di migliorare il nostro ‘vedere’, di capire cosa ricercare durante lo scatto, di editare il lavoro finito in modo accattivante. La ricerca di una propria visione e di un approccio personale al matrimonio può essere determinante nel farsi scegliere dalla futura coppia. Spesso questo aspetto viene sottovalutato, ma diventa fondamentale se combinato a una buona visibilità.

E infine, sarò cinico, ma come in tutte le professioni dove è più forte l’offerta della domanda, una buona selezione naturale è doverosa e necessaria. Il mondo è vissuto per tanti secoli senza fotografia e continuerà ad andare avanti senza particolari traumi anche se il numero dei fotografi diminuirà. Sempre più sta diventando una professione superflua e quindi se al cliente non verrà offerto qualcosa di assolutamente esclusivo, particolare, molto diverso e non paragonabile a quello che parenti e amici con i loro cellulari sono in grado di dare allora è inutile meravigliarsi se i futuri sposi, nella scelta, guarderanno al prezzo o cercheranno l’amico.

In conclusione lamentarsi non porta a niente, è una triste consolazione, è la bandiera del ‘mal comune mezzo gaudio’ il cui unico risultato è quello di rimanere inerti ai cambiamenti. A chi non è in grado di adattarsi – che non vuol dire snaturare la propria fotografia – consiglio di studiare quanto prima un piano B, una exit strategy perché quel mondo a cui apparteneva un tempo, non esiste più.

… e comunque la colpa è sempre dell’abusivo.

vai al sito internet di Edoardo Agresti

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