Eritrea, il paese dell’Italia che fu, di cui nessuno ne parla

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Buongiorno signore! E’ bello, o meglio quantomeno curioso camminare per le strade di Asmara e sentirsi salutare in italiano anche se di Italiani oggi in Eritrea ne restano ben pochi. Eppure tutto parla ancora dei miei connazionali.

Non sono più giovanissimo, ma nemmeno così datato da aver vissuto gli anni trenta in Italia. La visione di qualche vecchio film ambientato in quel periodo, i ricordi di mio padre e di mio nonno, qualche libro di storia di scolastica memoria e qualche lettura sull’ascesa del fascismo in Italia mi hanno comunque formato una visione di come poteva essere la vita, l’architettura e lo scorrere della quotidianità a quell’epoca.

Camminare per le strade di Asmara è come fare un viaggio indietro nel tempo. Ci si cala in un contesto fermo a decenni fa’ quando la capitale eritrea attraversava il suo periodo di massimo splendore. Tutto è rimasto come allora. Si percorrono i viali della città, la via Crispi, il viale Regina Margherita, ci si imbatte nel Cinema Impero o nel Teatro Asmara, si beve un cappuccino nel Bar Zilli vicino alla concessionaria Fiat Tagliero o nel Bar Vittoria una delle migliori pasticcerie della città. Si cammina tra palazzi dalla tipica architettura del Ventennio con le finestre chiuse da avvolgibili verdi o persiane color sabbia. Si entra nella Farmacia Centrale con i suoi barattoli della Officina Farmacopeica Ambrosiana, si pranza al Ristorante Italia dentro all’omonimo albergo poco distante da quella che erano la Banca d’Italia e le Poste Centrali. Si chiede un cappuccino per colazione, un espresso dopo pranzo e un aperitivo Padova prima di cena. Il treno a vapore che un tempo collegava Asmara con Massaua è stato costruito dall’Ansaldo di Genova nel 1938 e molte delle infrastrutture, dei ponti, della rete viaria, dei pannelli elettrici, delle condutture d’acqua, dei motori a scoppio riportano, nella targhetta di fabbricazione, nomi o città italiane. Il cotonificio Barattolo è l’unica realtà industriale rimasta nel paese e non nazionalizzata. Ormai la proprietà non è più dei vecchi fondatori ma è rimasta comunque in mano ad un grosso gruppo industriale italiano che continua, tra mille difficoltà, a produrre ed esportare capi di abbigliamento in tutto il mondo. Basti pensare che le divise blu degli scout sono prodotte da questa azienda in Asmara.

Tutto è rimasto come allora tranne lo splendore, l’agiatezza, la funzionalità che caratterizzava la colonia italiana all’epoca. Prima gli inglesi dal ’41, poi l’annessione all’Etiopia e la guerra di liberazione ed infine il governo attuale hanno contribuito negli anni a portare tutto ciò che di bello gli italiani avevano fatto e costruito in uno stato di totale abbandono e fatiscenza. In genere i ‘colonialisti’ sono sempre stati respinti in maniera violenta da chi si sentiva dominato. Gli Inglesi in India, i Portoghesi e gli Spagnoli in Africa orientale e Sudamerica, i Francesi in Algeria hanno dovuto lasciare le loro colonie senza troppi ripensamenti.

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Il popolo eritreo in qualche modo è rimasto invece legato al loro passato coloniale quasi con una vena di profonda nostalgia. Sicuramente gli italiani hanno ricevuto molto dall’Eritrea e dal suo popolo, ma hanno anche dato molto ad essa a partire, come detto, dalla maggior parte delle infrastrutture. Gli Ascari hanno combattuto con onore, lealtà e coraggio a fianco dell’esercito italiano contro gli inglesi. Ad Asmara esiste la più grande scuola al mondo dove si insegna italiano all’estero. In ogni ristorante – benché ci siano molti piatti di tradizione africana – è normale avere nel menù delle tagliatelle alla bolognese, delle lasagne al forno o delle scaloppine al limone. Il pane è ottimo, un tempo anche il vino era buono e nei bagni delle case e degli alberghi c’è l’italianissimo bidet. Purtroppo mentre da una parte si respira il fascino di un passato elegante dall’altro quello che resta oggi nel paese sono solo dei brandelli di ricordi, come delle vecchie foto sbiadite dalla fatiscenza del tempo. Camminare tra Asmara e Massaua è come leggere delle fragili pagine polverose e ingiallite di un libro del tempo che fu’ fatto di gloria e splendore ma che adesso un semplice soffio di vento è in grado di sgretolarlo per sempre.

Il paese subisce da tempo un embargo internazionale, il mercato nero prolifica, l’inflazione è alle stelle, molti prodotti di prima necessità sono razionati. Si ricicla tutto. Basta perdersi nel caravanserraglio di Asmara per capire quanto non si butti via niente, anche un pezzo di una vecchia grondaia arrugginita può rinascere, opportunamente tagliato e ‘lavorato’, in un pettine dai denti più o meno larghi.

Si vedono sempre meno giovani nelle strade. L’esercito ne arruola forzatamente sempre di più e li concentra ai confini con l’Etiopia i cui equilibri geopolitici sono sempre alquanto tesi. Molti tentano la fuga, una disperata ricerca di asilo. Non hanno più niente nel loro paese, cercano di recuperare un minimo di dignità e sperano in un futuro migliore. Vediamo quello che sta accadendo drammaticamente sulle nostre coste. La maggior parte dei profughi che raggiungono l’Italia, sono Eritrei. Persone pacifiche, niente a che vedere con il fanatismo islamico, le bande sudamericane o il traffico della droga. Bisogna essere stati nel loro Paese per capire, per comprendere il dramma quotidiano di questi esseri umani. Quando arrivi a rischiare la tua stessa vita pur di scappare vuol dire che non hai veramente più niente da perdere. Restare vuol dire comunque morire, più lentamente, una crudele agonia, uno spegnersi senza speranze.

Concludo con queste parole di J. Berger lette di recente: ‘Gli abbandonati sono i nati in zone dove non è più possibile guadagnarsi da vivere, e dove ogni idea di futuro è stata distrutta. I tutelati sono quelli che, altrove, credono che il futuro appartenga solo alle ragioni del profitto. […] Nel cielo – al di là di tutte le fotografie di questo servizio – si riflette la cieca indifferenza del nuovo individualismo. Alla fine la storia non perdonerà questa indifferenza.’

Buona luce

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