Si guarda con gli occhi, si vede con l’anima

Talvolta mi è capitato di sentirmi dire: come vorrei avere i tuoi occhi. Non credo assolutamente per un fattore estetico. Non ho un bel taglio e neppure sono di un colore particolarmente affascinante come il verde o l’azzurro. Ho dei banalissimi occhi castani, forse s’illuminano quando sorrido, ma niente più. Io invece ho sognato fin da piccolo di avere degli occhi blu forse perché il connubio capelli scuri e occhi chiari era – almeno alcuni anni fa – sinonimo di fascino. Credo che invece quell’affermazione si riferisse al modo in cui faccio fotografia dato che una componente dello scattare è la vista.

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Niente di più sbagliato però pensare che la fotografia si faccia con gli occhi. Certo quelli sono fondamentali e necessari per gestire l’inquadratura, ma la fotografia quella vera non è solo estetica è molto di più. Ferdinando Scianna in una intervista di un po’ di tempo fa sosteneva che quando camminava con la macchina fotografica al collo si guardava intorno e qualche volta vedeva. Guardare e vedere muovono entrambi da un’azione visiva che risulta uguale nella forma – l’atto del vedere e del guardare sono identici in colui che li compie – , ma c’è una profonda differenza nella sostanza. Il guardare è qualcosa di naturale, spontaneo; mentre osservi, il nervo ottico manda degli impulsi a livello cerebrale e poi si converte la luce in immagini. Diciamo è una cosa molto fisica. Il risultato fotografico del guardare è la classica foto cartolina di un tempo. Una bella composizione, un gradevole equilibrio delle masse, magari una bella luce e la foto finisce lì. Il vedere è invece un’azione molto più complessa, spesso è connessa alla conoscenza delle cose o delle persone. Il tuo sguardo vede qualcosa di personale che altri non riescono a cogliere, ma non perché non ci sia – ciò che accade davanti hai tuoi occhi è lo stesso – ma perché quello che stai vedendo sta nascendo dentro di te. La macchina fotografica con cui stai fermando il momento diventa un’appendice del tuo intimo, della tua sensibilità, riflette le tue emozioni. Non sono più i tuoi occhi a fare lo scatto ma la tua anima.

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Chi guarda controlla, chi vede percepisce. Non è un caso che molti fotografi affermino che fotografare non significa solo riprendere la realtà ma interpretarla. Attenzione però. Guardare non vuol dire non impegnarsi o fare quell’azione con superficialità. Spesso ci sono dei fotografi che per fare uno scatto si preparano con accuratezza, montano un treppiede, leggono la luce, magari aspettano un particolare momento della giornata, però alla fine quello che ottengono è il risultato del loro guardare: un’immagine tecnicamente corretta e basta. Il vedere invece presuppone un salto qualitativo importante legato anche alla conoscenza di ciò che stiamo osservando. Si entra quasi in simbiosi con ciò che si sta fotografando, percepiamo e trasmettiamo emozioni. Canalizziamo questo scambio nello scatto, mettiamo noi stessi in quello che facciamo. Tante volte ho citato Ansel Adams che diceva che fotografare non significa premere semplicemente il pulsante di scatto ma è la sintesi di tutti i libri che abbiamo letto, di tutte le immagini che abbiamo visto, di tutta la musica che abbiamo ascoltato e di tutte le persone che abbiamo amato. La persona che vede, infatti, non ha semplicemente guardato, ma si è spinta oltre raggiungendo l’obbiettivo dell’osservazione: ha capito, ha compreso. Per vedere quindi è importante conoscere. Più sei ricco dentro, più sei attratto dallo studio di cose nuove, più cerchi di capire gli altri, più sei aperto al mondo e alla voglia di scoprire e più i tuoi occhi riusciranno ad andare oltre.

Ma vedere non è così scontato, non è facile e non è per tutti, come dice Nadar: nella fotografia esistono, come in tutte le cose, delle persone che sanno vedere e altre che non sanno nemmeno guardare.

Buona luce

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