Paris Photo 2016, quanti photobook, perché?

“If you’re young and have the time, go and study. Study anthropology, sociology, economy, geopolitics. Study so that you’re actually able to understand what you’re photographing. What you can photograph and what you should photograph.”

S. Salgado

Paris Photo 2016, l'area riservata agli editori

Paris Photo 2016, l’area riservata agli editori

Come da alcuni anni a questa parte anche stavolta non ho mancato l’appuntamento con il Paris Photo. Per chi non lo conoscesse, è la più grande mostra mercato di fotografie che si tiene in Europa oltre ad essere l’occasione per tanti editori di presentare nuovi libri fotografici. A tal proposito vengono assegnati due importanti premi in campo editoriale: il PhotoBook of the year e il First Book of the year. Due riconoscimenti che dovrebbero evidenziare il meglio della produzione di libri fotografici usciti nell’anno in corso (o almeno di quelli presentati per essere giudicati).

Devo dire che, quest’anno come non mai, sento di aver speso inutilmente i 30 euro del biglietto d’ingresso. Ci sono stato poco più di 3 ore, ho incontrato sì alcuni importanti fotografi, ma poi sono uscito molto pensieroso e perplesso. Intorno al Paris Photo sono nati alcuni eventi collaterali come l’Off Print (biglietto 5 euro) e il Polycopy (ingresso gratuito) che si è svolto all’interno del Concorde Atlantique, un battello sulla Senna, in un’atmosfera piacevole e molto informale. In entrambi i posti editori, fotografi, self publisher hanno presentato le loro produzioni e novità editoriali.

Paris Photo 2016, incontri: Bruce Weber

Paris Photo 2016, incontri: Bruce Weber

Paris Photo 2016, incontri: Alex Majoli

Paris Photo 2016, incontri: Alex Majoli

Paris Photo 2016, Book Signing: Joel Meyerowitz

Paris Photo 2016, Book Signing: Joel Meyerowitz

Paris Photo 2016, Book Signing: Alex and Rebecca Webb

Paris Photo 2016, Book Signing: Alex and Rebecca Webb

Ma torniamo alle mie perplessità che, per certi versi, sono pure aumentate dopo aver visitato questi eventi collaterali. In pratica mi sono imbattuto in una miriade di piccoli editori che presentavano i più svariati libri fotografici spesso finanziati dal fotografo stesso. Quando mi avvicinavo per sfogliarne qualcuno subito l’editore si prodigava in spiegazioni affinché potessi comprenderne il contenuto. Il più delle volte l’autore non era il ‘photographer’, ma diventava il ‘visual artist’ che stava facendo un lavoro introspettivo e concettuale. Questo aspetto, sempre a detta dell’editore/venditore, veniva accentuato da una confezione/rilegatura particolare che necessitava anch’essa di accurata spiegazione onde poterlo leggere o aprire in modo corretto. Raramente si parlava sulle immagini o si sottolineava il perché di un determinato scatto. Raramente ho trovato dei libri su lavori reportagistici o documentari e non sempre ho visto delle rilegature che fossero intelligenti e utili alla descrizione delle fotografie e dell’eventuale progetto.

Credo si stia perdendo, così come è successo per la fotografia, il senso, il perché del fare. Non si stampano più le singole foto, ma si fanno libri. Per carità, l’avvento del self publishing ha permesso a tanti fotografi che non sarebbero stati presi in considerazione da affermate case editrici, di potersi auto produrre il lavoro e questo ha fatto nascere certamente dei libri incredibili, come Afronauts della De Middel, ma ha anche inondato il mercato editoriale con una produzione inconsapevole e senza senso. Una volta il libro era un punto d’arrivo, il consolidamento di una professione si pubblicava perché si aveva qualcosa di importante da raccontare, da comunicare e da far conoscere al grande pubblico. Oggi che le immagini si veicolano con innumerevoli mezzi alternativi ecco, paradossalmente, che emerge prepotente l’esigenza di fare un libro, perché? Per non parlare delle rilegature e delle confezioni, nelle quali grafici più o meno importanti si esibiscono in fantasiose fatture, disinteressandosi in molti casi della relazione tra contenitore e contenuto. Certamente anche in questo caso si sono trovate delle soluzioni molto pratiche sia per la lettura delle didascalie che per gli approfondimenti sul progetto pubblicato, ma dopo ‘Based on a true story’ di D. Alan Harvey – occorre vedere il video per poterlo ‘leggere’ – nel quale si è raggiunto un picco di pura genialità sia in fase di ripresa che di confezione, credo che un ridimensionamento, almeno parziale, possa riportare il libro fotografico ad una lettura più normale.

Questa esigenza di ‘normalità’ sta già succedendo per la Fotografia. Non è un caso che molti giovani si stiano interessando ai grandi autori classici, proprio perché sono alla ricerca di nuovi punti di riferimento. In una bella intervista Michele Neri risponde così: ‘Oggi, in questo flusso di immagini confuso che non permette di fare distinzioni, aggrapparsi ad uno scoglio come Koudelka è la garanzia che la fotografia possieda ancora dei punti fermi.‘ Oggi si fotografa senza più studiare e allo stesso tempo si fanno libri senza avere neppure idea di cosa voglia dire fare un editing corretto sia nella scelta che nella sequenza. C’è la proliferazione di una fotografia istintiva che però è una sorta di analfabetismo diffuso. Non puoi scrivere di getto se non conosci la grammatica. Continua a rispondere Neri: ‘Esistono almeno due tipi di analfabetismo. Uno è tecnico, legato alla composizione, al rigore, e questo mi pare meno grave. Poi c’è un altro analfabetismo, ed è quello che mi interessa di più, che è di tipo etico e umanistico. Ciò che manca oggi non è la tecnica, quanto un principio etico, un background che faccia della fotografia un sentimento, un valore, una necessità.’

Paris Photo 2016, il Photobook of the year a Gregory Halpern

Paris Photo 2016, il Photobook of the year a Gregory Halpern

Paris Photo 2016, il primio 'First photobook' a Christopher Brown per il libro 'Libyan Sugar'

Paris Photo 2016, il primio ‘First photobook’ a Christopher Brown per il libro ‘Libyan Sugar’

Paris Photo 2016, un libro in vendita

Paris Photo 2016, un libro in vendita

Paris Photo 2016, Boh (?)

Paris Photo 2016, Boh (?)

Il fatto di continuare a scattare senza farsi alcuna domanda non ha più niente a che vedere con la nascita e l’evoluzione della fotografia, quella fatta di luce, tempo, documento, racconto e volontà. Sia Scianna che Salgado parlano di ‘morte della Fotografia’ o almeno di una certa visione di essa. Questo si riflette inevitabilmente anche sulla realizzazione di un libro fotografico. Parlavo con l’amico Bazan nel suo stand sul bateux di PolyPhoto e mi raccontava di quanto tempo avesse impiegato nella realizzazione della trilogia su Cuba. Anni nello scattare, mesi e mesi nell’editare le foto e nel cercare la giusta successione visiva.

Solo in una parte molto ridotta dei libri presenti in questa edizione del Paris Photo si leggeva un progetto fotografico, una qualcosa che valeva la pena di essere raccontato. Il più delle volte mi sembrava di leggere soltanto una sorta di egocentrismo del fotografo, un’autocelebrazione e una ricerca di conferma dettata dal sillogismo: ho fatto un libro, quindi sono bravo.

Il mondo dell’editoria mi ha sempre affascinato, sono stato io stesso editore per oltre un ventennio e sto lavorando da un po’ al mio nuovo libro. Sarà che ormai sono oltre 10 anni che sto portando avanti il mio progetto, sarà che sono mesi che sto cercando di fare il giusto editing alle foto, sarà che ho cambiato il titolo non so più quante volte, sarà che ho sempre paura di fare qualcosa che alla fine non interessa a nessuno, sarà che non ho ancora trovato uno stampatore che mi soddisfi, sarà che ho in mente una rilegatura semplice e funzionale, forse sarà per tutti questi motivi che osservo con un occhio un po’ troppo critico quello che vedo intorno. Ho però la consapevolezza che alla fine un libro è comunque una responsabilità e non credo che tutti questi ‘scrittori’ se ne rendono conto.

Buona luce

PS: alcune cose positive. Tra le migliaia di pubblicazioni ne ho comprate 5 di cui vi dirò in seguito gli autori. Il libro che ha vinto il First Book è un signor lavoro di tipo reportagistico con una rilegatura classica e con delle bellissime fotografie fatto da un grande fotografo, Christopher Brown. Sarà un caso ma la casa editrice che lo ha stampato non era presente al Paris Photo, forse non credevano nella vittoria.

Paris Off Prints

Paris Off Prints

Paris Off Prints, Boh (?)

Paris Off Prints, Boh (?)

Agenzia VU', Paris, Book Signing: Jane Evelyn Atwood

Agenzia VU’, Paris, Book Signing: Jane Evelyn Atwood

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