Fare cultura dell’immagine ci salverà, forse…

“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”

Peppino Impastato

Solo poco giorni fa la Ceo di Yahoo aveva detto, in una intervista, che il fotografo professionista in definitiva non esisteva più; la settimana scorsa il Chicago Sun-Times licenzia 30 fotografi perché ritenuti non più utili all’azienda e iscrive i giornalisti della testata a dei corsi sull’utilizzo degli smartphone in ambito fotografico. Anche in questo caso la figura del fotografo professionista viene meno, anzi viene addirittura sostituita dal giornalista stesso. Di fatto si dice che una qualsiasi persona, a fronte di un corso sull’utilizzo di un iphone o similare, può diventare fotografo.

Beh credo ci siano degli argomenti su cui riflettere.

Luca Pianigiani nel suo Jumper afferma che questa storia può avere una lettura positiva e arriva ad affermare questo: ‘Le scelte stupide e senza futuro come quelle fatte da The Chicago Sun-Times aprono nuovi orizzonti per i piccoli, per quelli bravi, per quelli che sanno davvero come creare emozioni e valore con le immagini. […] E questo significa anche che se faremo foto che non sono evidentemente migliori di quelle che miliardi di persone fanno e pubblicano online, vuol dire che non riusciremo a giustificare il nostro ruolo e il nostro prodotto. Insomma, la buona notizia è che ci sarà sempre più spazio per prodotti di vera qualità. E sempre meno spazio, nel business, per prodotti di scarso valore.’

Un recente numero della rivista con in copertina una foto palesemente e brutalmente pasticciata

In genere sono d’accordo con le considerazioni di Luca e sulla sua visione del futuro della fotografia e dell’editoria a essa legata, questa volta però ho molti dubbi anzi per certi aspetti credo l’esatto contrario. Chi decide chi è bravo oggi? Quali sono i riferimenti culturali per i quali si afferma che una foto è bella o di qualità? Se una testata con così tanti fotografi pensa che il lavoro degli stessi si possa sostituire semplicemente con un corso sull’uso di un telefono la dice lunga su ciò che viene percepito dal lettore come prodotto di qualità. Cosa vuol dire ‘evidentemente migliori’? Oggi una foto è considerata bella in relazione al numero delle condivisioni e dei ‘mi piace’ su Facebook e purtroppo sembra che l’editoria invece di selezionare il materiale in base a dei criteri oggettivi frutto dell’esperienza, della competenza, dell’occhio critico ed esperto del photoeditor si lascia travolgere da questa visione. Si entra così in un circolo vizioso in cui gli stessi che hanno i mezzi per mostrare cultura e per diffondere cultura rinunciano a farla perché tanto il lettore non è in grado di percepire la differenza tra un professionista della fotografia e uno qualsiasi.

Un’immagine di Steve McCurry di facile lettura dalla perfetta struttura formale

Un’immagine di Paolo Pellegrin che richiede una lettura più attenta e meno superficiale

Un’immagine di Antoine D’Agata che suppone una conoscenza più approfondita della sua fotografia

D’accordo che la fotografia dovrebbe essere fruibile dalla maggior parte delle persone, ma, come si domanda Alessia Glaviano, photoeditor di Vougue Italia e Vougue Uomo, se smettiamo di pensare perché guardiamo solo immagini semplici leggiamo solo libri facili e andiamo a vedere solo cinepanettoni, il tutto giustificato dai diversi esperti del settore, cosa accadrà alla nostra capacità di critica? Saremmo ancora capaci di leggere e imparare anche da queste cose o le subiremmo sempre più passivamente?  Questo ci riporta al Fotografo che non ha un prodotto ‘evidentemente migliore’ del resto del mondo, magari lo ha eccome, ma spesso la buona fotografia, il buon progetto lo si è in grado di apprezzarlo solo se si ha la cultura necessaria per farlo.
Chi fa cultura fotografica oggi? In questo periodo come mai in passato prolificano workshops, seminari, incontri, basta veramente poco per auto celebrarsi master, esperto, professore, ma veramente tutti questi hanno i titoli per insegnare fotografia? Quali sono i requisiti per cui uno si auto assume il diritto di insegnare? Purtroppo tutte queste domande trovano risposte nell’appiattimento culturale della fotografia – da parte di chi la fa – e nello scarso interesse del ‘lettore’ verso un modo diverso di fare immagine. Troppo spesso nel giudicare uno scatto ci si limita a guardarne la parte formale, estetica, senza andare oltre. Se prima non si stimolano ‘i miliardi di persone che pubblicano’ a capire cosa vuol dire fare Fotografia così che si rendano conto che non è così banale, che non è per tutti; se i giornali, le riviste, i settimanali, i blog, insomma i media che fanno o dovrebbero fare cultura non contribuiscono a dare dei segnali forti verso la bellezza, ma sono loro stessi a venirne meno; se la tendenza sarà questa allora la figura del fotografo professionista veramente non avrà più ragione di esistere.

Qualcuno mi accuserà, di nuovo, di essere pessimista. Chi mi conosce sa che sono l’esatto contrario. Credo – e spero di sbagliarmi – di essere solo drammaticamente realista.

Buona luce

[Le fotografie qui presentate, nel rispetto del diritto d’autore, vengono riprodotte per finalità di critica e discussione ai sensi degli artt. 65 comma 2, 70 comma 1 bis e 101 comma 1 Legge 633/1941.]

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