Il Ritratto, un genere in fotografia che mi piace sempre più

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Ritratto Creativo. La sposa guarda verso un faro, verso una luce che si accenderà al calare della notte

“Davanti all’obiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”. 

R. Barthes

Fin da poco dopo la nascita della Fotografia il ritratto fu uno degli usi più comuni nell’utilizzo di questa nuova tecnica nel mondo delle arti figurative. Prerogativa esclusiva dei pittori fino alla metà dell’800 divenne invece una delle applicazioni più diffuse man mano che questa ‘nuova’ arte prendeva sempre più piede. La gente incredibilmente non aveva più tempo o voglia di aspettare il disegno. Certo inizialmente anche i tempi di scatto erano piuttosto lenti e, onde evitare dei mossi eccessivi, i fotografi si crearono delle sedie dotate di particolari poggiatesta nascosti per far star fermi i soggetti fotografati, ma niente a che vedere con le tempistiche del pennello. Uno dei ritratti più famosi di quel periodo fu quello fatto da Nadar a Baudelaire che, paradossalmente, fu uno dei maggiori delatori, almeno all’inizio, della fotografia stessa.

Con il tempo il ritratto fotografico è diventato sempre più parte importante della fotografia. Con gli anni si è evoluto e alcuni sono diventati delle vere e proprie icone popolari: dalla ragazza afgana di McCurry ai gemelli della Arbus, dal marines di Mc Cullin ai ‘cani’ di Erwitt.

I 'gemelli' della Diane Arbus e il 'marines' di Don McCullin

I ‘gemelli’ della Diane Arbus e il ‘marines’ di Don McCullin

Il ritratto, in fase di esecuzione, può essere per il fotografo qualcosa di molto impegnativo che necessita di attenzioni particolari. Ci sono alcuni autori che vogliono conoscere il soggetto, spendere del tempo insieme, capire chi hanno davanti prima di iniziare a scattare. Altri invece vogliono mantenere le distanze proprio per cercare di cogliere l’essenza della persona senza esserne influenzati dalla conoscenza. Ognuno ha il suo approccio. Philippe Halsman negli anni 50 faceva fare un salto ai personaggi che fotografava proprio per cercare di cogliere, grazie a quel gesto quasi infantile, la parte più vera, più intima di coloro che fotografava. Nel jump si liberavano quelle inibizioni e quell’imbarazzo che spesso si ha stando davanti all’obiettivo.

Un’altra coniugazione del ritratto è il cosiddetto selfie che credo essere – moda a parte – una delle cose più intime e personali, direi addirittura private, di ognuno di noi. L’autoritratto ci mette a nudo forse senza nemmeno rendercene conto. Ci riprendiamo non come ci vede il mondo, ma come vorremmo che il mondo ci vedesse. L’autoritratto parla quindi di noi e della maschera che in quel momento ci mettiamo addosso. Da un tal ritratto credo che uno psicologo riuscirebbe a capire tanto delle nostre paure, dei nostri limiti e delle nostre insicurezze. Basta dare un occhio agli autoritratti della Woodman, della Maier o della Goldin per capire le diverse personalità di ognuna di loro.

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Ritratto Creativo. Linee di luce diagonali ‘tagliano’ il fotogramma

Ritratto Creativo. Lo Skyline di Perth e l'uso estremo del fisheye ha creato un taglio inconsueto allo scatto. Uno Studium accurato

Ritratto Creativo. Lo Skyline di Perth e l’uso estremo del fisheye ha creato un taglio inconsueto allo scatto. Uno Studium accurato

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Ritratto Creativo. L’eleganza dell’ambiente si ‘sposa’ con la sposa

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Ritratto Creativo. Giochi di luci e ombre ‘sui’ pensieri della sposa

Per quanto mi riguarda mi sto sempre più affascinando al ritratto fotografico e in particolare a quello creativo. Mi piace studiare la composizione, ricercare lo sfondo, controllare la luce, mi piace cercare un equilibrio in quello che Barthes definisce Studium ma altresì mi piace lasciare al soggetto libertà assoluta nel fare quello che si sente di fare nella speranza di cogliere il Punctum che sarà l’essenza dello scatto. Spesso cerco di essere lontano da colui che fotografo per limitare il mio inevitabile condizionamento. Non ho ancora sviluppato una tecnica univoca, identificante del mio scattare in tal senso e credo che mai lo farò. Ogni persona che fotografo è unica e quindi di volta in volta mi piace cercare anche nell’esposizione questa unicità. Bianco e nero, colore, mosso, dettaglio estremo, sfumato, desaturato, netto, preciso, sguardo in camera, di spalle, all’ombra, al sole, nudi, vestiti, giovani, bambini, anziani. Adesso mi sto proponendo alle spose già sposate che vogliono a distanza di tempo o subito dopo il matrimonio indossare nuovamente il loro abito nuziale. Per uno sfizio, per un gioco o semplicemente per tornare protagoniste per alcune ore. Niente a che vedere con un servizio di moda, è un genere che non mi appartiene e dal quale mi sento veramente distante. Cerco invece di muovermi su un terreno più intimo, meno asettico, più personale. L’abito è quello del matrimonio e chissà, indossato dopo del tempo, che tipo di emozioni riporterà alla mente. Mi piacerebbe scoprirlo insieme a colei che lo indosserà di nuovo.

Buona luce

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