Ma il matrimonio sono solo foto di coppia? Mi piacerebbe un ritorno al racconto

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Stavo rileggendo i pensieri di Hiroshi Sugimoto condivisi pochi mesi fa in un blog. ‘My photography, the traditional one, has existed for 180 years and I see myself as the last genuine photographer. I am very happy to have worked at the end of what we can call the true photographic era.’ E non li leggevo con l’ottica di alimentare la ormai vetusta e noiosa polemica sul fatto che il digitale ha ucciso la ‘Vera Fotografia’ (io adoro il digitale a differenza di Gardin), ma riflettevo sul significato stesso di fare fotografia oggi. Una larga parte del mio fotografare riguarda la fotografia di matrimonio anche se, come dice Scianna, non mi considero Fotografo di, io mi sento Fotografo-Fotografo. Nei miei scatti mi impegno a raccontare, a narrare la storia di due persone, dei loro amici, del loro giorno. Cerco di cogliere e trascrivere dei pensieri, di fissare delle emozioni, di fare in modo che a distanza di tempo quando la coppia rivedrà le foto, magari stampate e montate su un album più o meno tradizionale, riaffiori dentro di loro ciò che per la frenesia dell’evento non ha avuto modo di sedimentarsi il giorno stesso. Per fare questo cerco di essere sempre pronto a vedere, a muovermi, a guardarmi intorno continuamente. Devo talvolta essere in grado di prevedere ciò che potrà accadere. Non è una cosa facile, necessita di molta esperienza e, credo, che non tutti ne siano capaci. Mettetemi a fare dello still life e mi trasformo in un diversamente abile della fotografia. Con questo non voglio nemmeno autoincensarmi, in fondo sono solo un piccolo Fotografo che cerca di fare al meglio e con passione la sua professione.

In questo raccontare, in questo muoversi con un approccio foto-giornalistico al matrimonio sono l’insieme degli scatti a scrivere la storia. Certo, ce ne potranno essere alcuni che per la loro forza narrativa reggono da soli una parte importante dell’evento, ma è dall’insieme delle fotografie che si dovrebbe riuscire a leggere l’intero racconto. Il reportage è proprio fatto di questo, un insieme di scatti ognuno dei quali aggiunge elementi nuovi alla foto precedente come delle pagine di un libro.

Da quello che sto vedendo in giro oggi, si sta un po’ perdendo questo senso del racconto. Magari è solo una mia impressione, una mia visione parziale, ma oggettivamente le foto che vengono postate sui vari social, quello che vedo nei blog o quelle che vincono i vari contest sono sempre più spesso scatti di coppia. Fotografie costruite, talvolta – troppo spesso per i miei gusti – manipolate, dove c’è l’esasperata ricerca della location unica, della luce particolare, dello sfondo incredibile. Dove conta molto più il fattore estetico che il contenuto. Dove spesso gli sposi sono relegati a delle semplici comparse di un film, spesso già visto, con attori principali la location o altri elementi che in genere dovrebbero fare da cornice e non essere lo scatto. Dove si utilizzano foto di modelli fatte durante dei workshop soltanto per stupire e magari vincere qualche premio in più. Dove non si fotografa più per raccogliere delle emozioni da donare agli sposi, ma per sorprendere – magari l’assistente di turno e non la coppia – andando alla ricerca di situazioni imbarazzanti. Mi torna in mente la foto di un collega che, nell’affannosa ricerca dello scatto diverso, orgoglioso mi mostrava la foto della sposa dentro a un porno shop con decine di oggetti vibranti alle sue spalle. Mi sono sempre chiesto l’espressione della nonna quando gli sposi avessero fatto vedere il loro album in famiglia, magari la vigilia di Natale. Se questo è il servizio di matrimonio oggi, essere originali diventa sempre più difficile e quindi ricorrere alla grafica o a composizioni al limite del ridicolo per ‘andare oltre’ è sempre più frequente. Si rischia un’omologazione che alla lunga porta ad un appiattimento del genere stesso. Sempre citando Scianna andiamo incontro ad una ‘incoercibile noia suscitata da così tanti fuochi d’artificio, in fin dei conti tutti riconducibili ad un unico, e miserello, petardo’.

Con questo NON voglio essere frainteso, ritengo, oltre che importante, anche necessaria una fotografia di coppia e che sia ben fatta è una prerogativa imprescindibile, in questo il digitale ha contribuito ad elevare il livello medio delle immagini. Quindi il ritratto deve esserci e in fondo anche nella fotografia di reportage è un elemento importante. Cercherei però di fare qualcosa – almeno durante il giorno dell’evento – più legato alla coppia, che in qualche modo la racconti o che ne esalti alcuni lati del carattere in modo che nel loro scrigno di ricordi ci sia anche quell’espressione particolare, quel naso arricciato, quella lacrima che scivola sul viso. Invece quello che noto da un po’ di tempo a questa parte sono immagini belle dal punto di vista estetico, ma sterili nel contenuto e che soprattutto non appartengono agli sposi. Mi sembra di trovarmi davanti a un’evoluzione della fotografia degli anni ottanta – grazie anche alle nuove tecnologie – ma con il rischio – già ampiamente presente – di tornare alle foto tutte uguali dell’epoca dove i rotoloni di grano o i girasoli sono sostituiti da’ piccoli soggetti saltanti’ al tramonto. Raramente si vedono delle foto che raccontano, che fanno riflettere, che fissano un momento ma che, dalla visione, dilatino il tempo dei tuoi pensieri. Quelle ‘immagini aperte’ di cui Pellegrin è un maestro.

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Qualcuno dirà che questa è la fotografia cool di adesso, che se non scatti in questo modo sei una voce fuori dal coro, che se non ti adegui a questa visione del wow non fai tendenza. A me non è mai piaciuto essere uno dei tanti, ho sempre cercato di essere me stesso. Mi è sempre piaciuto sperimentare e confrontarmi con tecniche per me nuove, alle quali non mi ero mai accostato prima – da un po’ mi sono buttato sull’utilizzo della luce flash – cercando però di non snaturare il mio stile, di proporre la mia visione del matrimonio che, da evento qual è, mi adopero a raccontare in tutti i suoi aspetti.

Come ogni mia riflessione anche quanto ho appena scritto sono delle considerazioni personali, ognuno è libero di muoversi come meglio crede, solo mi dispiacerebbe che dopo tutti gli sforzi fatti nel corso degli anni – un pochino anche da me, ma non da solo ci mancherebbe – per dare una sua dignità alla fotografia di matrimonio, dopo tutti gli incontri e i seminari dove si evidenziava come anche in questo genere si poteva raccontare ogni volta qualcosa di nuovo, percepire un approccio personale, una visione unica dell’evento, dopo aver faticosamente cercato di vanificare l’idea che tale fotografia fosse tutta uguale, priva di uno stile, dopo aver cercato di sdoganare il matrimonio non più come Fotografia di serie B  si torni invece a vedere solo una serie di immagini, seppur belle, ma stereotipate di lei/lui, lui/lei, lei, lui.

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Buona luce

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