Perché l’infrarosso no?

Una foto all'infrarosso tratta dal mio ultimo lavoro 'Once upon a time, today' in Vietnam e Laos

Certo secondo la mia idea di fotografia tutti i fotografi, se sono fotografi, non possono non essere, in un modo o in un altro, realisti. Perché è dall’incontro con la realtà che nasce la fotografia, altrimenti stiamo parlando d’altro. Questo non vuol dire che un fotografo non possa declinare il suo impatto con la realtà in maniera visionaria.

Ferdinando Scianna

Prendo spunto dal reportage ‘Once upon a time, today’ pubblicato nel mio ultimo post per fare alcune riflessioni sullo scattare all’infrarosso.

Alcuni anni fa, presentai un mio lavoro su Ilha de Mozambique all’agenzia Grazia Neri (purtroppo ormai chiusa da alcuni anni). Le foto erano state fatte con una Nikon D100 modificata con un filtro infrarosso di tipo standard sul sensore. Credo sia stata in assoluto una delle prime digitali in Italia ad essere convertita in tal senso. Anche in quel caso, come in questo mio ultimo lavoro, avevo utilizzato tale tecnica per sottolineare come quell’isola vivesse un tempo fuori dalla realtà. Basti pensare che quando arrivai la gente, soprattutto i neri anziani, si toglievano il cappello al mio passaggio e mi salutavano con: Bom dia padrao. Al figlio di Grazia piacquero le mie foto e la storia che ci stava dietro (non so se me lo disse solo per cortesia), ma si rammaricò perché erano state scattate all’infrarosso. Anche altre volte ho avuto delle reazioni piuttosto negative e onestamente non capisco perché.

Una foto all'infrarosso tratta dal mio lavoro 'Bom dia padrao' pubblicato qui nel blog

Mi è stato detto che non funziona perché non è qualcosa di reale visivamente. Beh anche la fotografia in bianco e nero – paradossalmente perché è ovvio che la storia della fotografia ‘parla’ in bianco e nero – non lo è. Sono altresì d’accordo che lo scattare in bianco e nero è quasi una filosofia, è un modo di pensare. Citando Abbas, con il b/n si entra nella sostanza, nell’intimo delle cose. Ok. Ma perché non valutare anche l’infrarosso? Se l’obiezione è solo legata al non reale perché i bruciati e le sovrapposizioni di Giacomelli, gli sfumati di Delano, i sovraesposti di Siragusa vanno bene? Perché certe sottoesposizioni estreme con dei neri cupi che indubbiamente, se ben fatti, possono accentuare la drammaticità di una storia, vanno bene? Perché certe desaturazioni o elaborazioni fatte con smartphone, mi viene in mente il ‘reportage’ di Guttenfelder pubblicato nella sezione portfolio da Internazionale alcuni anni fa, sono riconosciuti come un modo alternativo per raccontare addirittura delle notizie giornalistiche? Certamente quella luce non è reale. Estremizzando ancora potremmo affrontare il tema ‘mosso’, se si contesta all’infrarosso la veridicità anche il movimento per certi aspetti non è reale, i nostri occhi non vedono a mezzo secondo.

Attenzione non voglio essere frainteso, non sto mettendo in discussione la fotografia dei personaggi che ho citato. Comprendo che ci sono delle motivazioni talvolta anche profonde che hanno spinto tali fotografi ad utilizzare quelle tecniche. Non sono degli inutili e superficiali formalismi. E’ proprio grazie a quelle elaborazioni che la loro fotografia trasmette un certo tipo di emozioni. E’ grazie a quei bianchi e neri estremi che di Giacomelli si dice abbia fotografato l’anima del paesaggio. La leggiadria che si percepisce nell’immagine dei seminaristi che sembrano fluttuare nello spazio colti in quell’atteggiamento giocoso e inconsueto lo si deve alla totale assenza dei grigi ottenuta in fase di stampa. La forma che da spessore al contenuto. Ma perché l’infrarosso no?

Mi è capitato di vedere proprio qui a Firenze il lavoro di Richard Mosse sulla guerra civile in Congo totalmente fatto in pellicola a colori infrarosso così come i ‘ritratti’ degli animali di Nick Brandt ma mi sembra che queste siano delle rare eccezioni.

Una foto fatta con pellicola infrarosso colore tratta dal reportage di R. Mosse sulla guerra civile in Congo

Un ripresa dall'alto della migrazione degli erbivori. Scatto con pellicola all'infrarosso di N. Brandt

Anche nella fotografia di matrimonio l'infrarosso accentua questa atemporalità in contrasto con lo smartphone con cui viene fatta la foto che ci riporta all'oggi

Credo che quando si voglia dare un senso di attesa, di sospensione, di assenza di tempo, quando si voglia sottolineare una realtà di un attimo indefinito temporalmente, trasmettere delle sensazioni di tranquillità e armonia pur accentuando i contrasti e i chiaro scuri non c’è niente che riesca a farlo meglio dell’infrarosso. Ma è una opinione, ovviamente personale e assolutamente non condivisibile.

Buona Luce

[Le fotografie qui presentate, nel rispetto del diritto d’autore, vengono riprodotte per finalità di critica e discussione ai sensi degli artt. 65 comma 2, 70 comma 1 bis e 101 comma 1 Legge 633/1941.]

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