In fotografia, dare movimento a ciò che è stato fermato

Carnevale, Foiano della Chiana, mosso, movimento, bambini

I bambini, protagonisti indiscussi del Carnevale

Credo che una delle peculiarità innate che fa parte – o dovrebbe farne almeno a mio parere – del Fotografo è una voglia continua di conoscere, di provare. Il Fotografo è un curioso per natura ed è sempre alla ricerca del modo migliore per raccontare se stesso e il mondo. Ed è in questo muoversi nella sperimentazione che spesso riesce a trovare il proprio stile e ad affinarlo nel corso degli anni. Talvolta è un percorso artistico che lo porta verso mondi legati più alle Gallerie d’Arte, da Man Ray negli anni venti a Mimmo Iodice e Fontana negli anni settanta-ottanta. Altre invece riesce a elaborare un modo personale, intimo, unico di raccontare anche se il suo ‘dovere’ è quello di documentare. Ci sono molti foto-giornalisti che pur nella necessità di fare della news o di documentare nel sociale riescono a esprimere nei tagli, nella gestione della luce, nell’approccio con i soggetti uno stile che riflette se stessi. Potrei citare tanti esempi mi limito a evidenziarne un paio: Paolo Pellegrin e Antoine D’Agata.

E’ da un po’ di tempo che la mia voglia di conoscere, la mia curiosità appunto, mi ha fatto avvicinare a nuove tecniche e nuovi approcci allo scatto. Ovviamente, almeno per me, non si tratta soltanto di conoscere cose nuove, ma di capire se quello che sto cercando di raccontare, sia questo un matrimonio, una festa in India, una problematica sociale possa avere una potenza e una penetrazione maggiore rispetto a un mio ‘stile’ consolidato. La fotografia è per sua natura il ‘fermo immagine’ di un attimo, potremmo chiamarla la memoria statica del tempo. Ed è proprio in questa mancanza di movimento, vissuta da me come un limite – visto non necessariamente come accezione negativa, anzi – che mi ha spinto a studiare e a farmi avvicinare al mosso. Una tecnica che è anche un modo alternativo di raccontare. Guardando un’immagine siffatta si attivano delle stimolazioni visive diverse, gli occhi vagano di più, talvolta sembra di riuscire a percepire addirittura i suoni e le parole. Naturalmente non tutto si può fotografare in questo modo, come non tutto può essere fotografato a colori o in bianco e nero. Credo che certe tecniche ‘alternative’, come ho detto prima, se utilizzate dovrebbero enfatizzare ciò che si vuole raccontare. Come dice Ernest HaasL’idea fondamentale era di liberarmi dal vecchio concetto di momento statico per giungere a un’immagine che comunicasse allo spettatore la bellezza di una quarta dimensione da scoprire più tra i momenti che nell’ambito del momento. Nella musica non ci si ricorda mai di un tono ma di una melodia, di un tema, di un movimento. Nella danza non si tratta mai di un momento ma, anche in questo caso, della bellezza di un movimento nel tempo e nello spazio.’

Una fotografia di D'Agata dove lui stesso è il soggetto fotografato

Un ‘mosso’ di D’Agata dove lui stesso è il soggetto fotografato

Un'immagine di Paolo Pellegrin che richiede una lettura più attenta e meno superficiale

Il ‘movimento’ in un’immagine di Paolo Pellegrin che richiede una lettura più attenta e meno superficiale

Tratta dal libro 'End Time City' di Ackerman

Tratta dal libro ‘End Time City’ di Ackerman

uno degli scatti 'mossi'  più famosi di E. Haas sulla corrida

uno degli scatti ‘mossi’ più famosi di E. Haas sulla corrida

In Bangladesh nell’agosto del 2012 durante la stagione delle piogge, quell’anno particolarmente violenta, ho provato ad utilizzarlo e in bianco e nero, proprio per aumentare quella sensazione quasi tattile del bagnato e del rumore della pioggia che cade. Pochi giorni fa l’ho sfruttato per il Carnevale di Foiano dove sono venute fuori delle pennellate di luce che nel rendere quasi pastello i colori hanno – a mio parere – aggiunto quel senso di ‘confusione’, allegria, goliardia tipica di questo evento. Lo sto utilizzando sempre più di frequente anche nel matrimonio dove ci sono dei momenti in cui il mosso meglio descrive il movimento tipo nei balli o nei giochi dei bambini.

Il mio lavoro durante la stagione delle piogge in Bangladesh

Il mio lavoro durante la stagione delle piogge in Bangladesh

Ci tengo a sottolineare che non ho inventato niente, fotografi ben più importanti di me – forse in un eccesso di autostima mi sono considerato anch’io ‘importante’ e chiedo venia per questo – sono stati dei precursori e, lavorando con il mosso, ci hanno lasciato delle immagini incredibilmente belle. Ed è proprio dallo studio dei loro scatti e della loro fotografia che ho cercato di avvicinarmi anch’io all’uso di questa tecnica cercando di calarla e personalizzarla nella mia visione dello scattare. Cito per il colore Ernest Haas sul quale varrebbe la pena di soffermarsi non solo per i suoi scatti mossi ma proprio per lo studio che ha fatto sul colore stesso e sulle profonde differenze che questo linguaggio ha con la fotografia in bianco e nero. E Michael Ackerman con il suo ‘End Time City’ un libro – vincitore del premio Nadar nel 1999 – che raccoglie degli scatti in cui l’autore è riuscito a catturare, talvolta con dei mossi accennati altre volte invece più decisi, l’anima, l’essenza stessa di una città come Varanasi.

E’ bello sperimentare nuovi linguaggi, cercare di conoscere nuovi modi di narrare, farsi contaminare da stili diversi per poi riuscire a meglio definire il proprio. E’ bello quando dall’osservazione del lavoro altrui si riesce a trarre la giusta ispirazione senza lasciarsi tentare dal copiare spudoratamente spacciando il lavoro così fatto come una ricerca personale. E’ bello quando pur mescolando influenze diverse si riesce comunque a percepire un percorso singolare. Mi ricorderò sempre le parole di Pellegrin quando davanti a un mio scatto mi disse: ‘bravo, mi piace‘ e io ‘forse perché ho voluto in qualche modo scimmiottare i tuoi?‘. ‘No Edoardo questo è il tuo scatto, la tua fotografia‘. Mi rispose.

Buona luce

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