Ma chi sceglie le foto da pubblicare e perché? Intervista a Marco Pinna, photoeditor del National Geographic

Un writer di graffiti a San Paolo – Brasile

Recentemente mi è capitato di avere degli scambi di vedute riguardo alla ‘discutibile qualità’ anche estetica di alcune fotografie scattate da importanti fotografi di fama internazionale e pubblicati su altrettanto importanti mensili o settimanali. Mi è venuto naturale fermarmi a riflettere sul perché in certi servizi giornalistici le foto a corredo sono veramente ‘bruttine’ non solo dal lato formale ma anche da quello emozionale e descrittivo. Mi sono quindi chiesto come funziona e come si muove un photoeditor nella scelta delle immagini da pubblicare e per rispondere a tale domanda ho intervistato Marco Pinna, photoeditor dell’edizione italiana del National Geographic.

EA: Una volta parlando insieme mi dicesti, riferendoti un po’ alla tua storia, che il photoeditor è un fotografo mancato. Come si diventa photoeditor?

MP: Naturalmente è una battuta, che circola da anni nell’ambiente, ma un fondamento di verità c’è. Molti photoeditor (me compreso forse) avrebbero voluto fare i fotografi nella vita, ma per un motivo o per l’altro si sono ritrovati dall’altra parte, a valutare le foto degli altri. In Italia il photoeditor è una professione poco considerata, le aziende editoriali non lo considerano un ruolo indispensabile, e gran parte dei photoeditor dei giornali lo sono diventati “per caso”; grafici, giornalisti o segretari di redazione che si sono ritrovati a svolgere questo ruolo “non previsto”, a colmare un vuoto che di fatto esisteva nell’organico della loro redazione. Oggi, con la grave crisi della carta stampata, anche la professione del photoeditor è in profonda trasformazione; probabilmente le migliori opportunità di portare avanti questo mestiere vengono dal web, ma bisogna rivedere la professione in maniera radicale: non più un photoeditor che sceglie le foto da mettere in pagina in stile John G. Morris [uno dei più importanti photoeditor di Life e autore del bellissimo libro Get the picture ndr] ma un “curatore di immagini” che potrebbe avere un ruolo fondamentale nella gestione e nel filtraggio dell’enorme flusso di immagini anche amatoriali dal quale siamo sempre più bombardati.

EA: Il photoeditor, e correggimi se sbaglio, è colui che all’interno di una rivista valuta il lavoro di un fotografo e, dopo l’approvazione del direttore, decide se pubblicarlo o meno. Esistono delle linee guida generali per la selezione delle foto da accompagnare al testo?

MP: Non esistono delle linee guida assolute; l’abilità di un photoeditor sta proprio nel capire le esigenze de proprio giornale, nel trovare le foto giuste a seconda della situazione, dello stile della testata, delle richieste del direttore o del giornalista di turno. L’importante nel fotogiornalismo è che le foto raccontino la storia, che illustrino la notizia. Se poi si ha la possibilità di usare foto di grande qualità per raccontare la storia, meglio ancora. Quando si realizza un servizio di un certo numero di pagine, è inoltre fondamentale che ci sia una grande varietà di situazioni, di inquadrature diverse e di luci diverse nelle immagini per evitare la ripetitività.

EA: Sia su riviste cartacee che su magazine on line importanti mi è capitato di vedere delle foto un po’ discutibili qualitativamente parlando. Spesso accompagnano una notizia interessante, ma oggettivamente gli scatti sono appena sufficienti. Meraviglia ancora di più quando il fotografo è molto quotato. In che rapporto sta la fotografia – ossia lo scatto importante – alla news?

MP: Spesso capita che si sacrifichi la qualità fotografica a favore della notizia. Nei giornali in linea di massima conta più la notizia, e quindi il soggetto della foto, rispetto alla qualità estetica. In Italia poi le immagini sono sempre state considerate un corredo al testo; nel nostro paese l’arte dello scrivere è considerata più “nobile” rispetto a quella del fotografare. Si parla del “giornalista” e del “fotografo” come figure ben distinte anche in senso gerarchico, mentre negli USA ad esempio il fotografo che si occupa di documentazione è di fatto un “journalist” al pari dello scrivente. A volte però anche i giornali che danno grande importanza alle immagini, come National Geographic, Time, Geo e altri, possono sbagliare: magari un commissionato assegnato alla persona sbagliata (magari un nome noto sul quale si fa affidamento che però in quell’istanza non era in forma o non se la sentiva), o una svista del direttore, del photoeditor o del grafico di turno.  Esiste poi anche la soggettività… ognuno ha i suoi gusti…

EA: Non credo che lavorando per il National Geographic tu abbia avuto tali ‘problemi’, ma quanto può influire un ‘potente’ inserzionista pubblicitario nel condizionare la pubblicazione o meno di un servizio fotogiornalistico?

MP: Questa è una questione davvero delicata, più che mai oggi con la crisi profonda che attanaglia i giornali e la gravissima carenza di inserzioni pubblicitarie nelle pagine dei giornali. La deontologia e l’etica professionale dei giornalisti dovrebbero essere sufficienti a scongiurare alcun tipo di ingerenza da parte di aziende esterne, tantopiù se inserzionisti, ma purtroppo capita sempre più spesso di vedere i cosiddetti “redazionali”, ossia pubblicità mascherate da articoli, o magari inserzioni pubblicitarie vere e proprie impaginate in maniera molto simile al giornale. I giornalisti dovrebbero vigilare su questi abusi, che sono veri e proprio inganni ai lettori, ma in molti casi è l’azienda editoriale stessa a proporli, e poiché significano entrate, e magari in alcuni casi il salvataggio del giornale stesso, a volte riesce molto difficile al direttore o ai giornalisti dire di no.

EA: Quanto è importante o quanto può aiutare nella presentazione del proprio lavoro a una rivista allegare anche un testo ben scritto oltre alle fotografie? E soprattutto in che modo presentare un proprio lavoro?

MP: In genere è un plus, nel senso che proporre un pacchetto già confezionato foto-testo è sicuramente un vantaggio. Resta però il fatto che sono davvero rari i fotografi che sappiano anche scrivere bene. In alcuni casi può essere una carta vincente l’accoppiata fotografo/giornalista scrivente che propone il lavoro assieme. Comunque sia, qualsiasi proposta di reportage deve essere accompagnata da un breve testo di spiegazione, nonché da didascalie per ogni immagine. Ogni photoeditor ha le sue preferenze per la presentazione dei lavori; personalmente preferisco vedere una trentina di jpg via email accompagnate da un testo di 10-15 righe. Non sopporto i link o i files da scaricare, e non gradisco nemmeno tanto i PDF, ma questa è una questione davvero soggettiva.

EA: Mi capita spesso di parlare con giovani che vogliono iniziare la professione di fotografo e in particolare di fotogiornalista. Alcuni di questi pur essendo veramente in gamba trovano molte difficoltà a farsi ‘pubblicare’. Hai dei consigli da dare a chi ha questa grande passione-amore-talento per la fotografia, ma non riesce a viverci?

MP: Davvero difficile dare consigli in un momento simile in cui il mercato è in profonda trasformazione. Penso che capiremo meglio cosa sta succedendo al fotogiornalismo nell’arco di qualche anno. Comunque, un consiglio universalmente valido è quello di perseverare e di coltivare la propria passione in tutti i modi, credendoci veramente. Se si crede davvero in una cosa, la si può ottenere, questo ve lo garantisco. In particolare in fotografia è importante avere idee originali, merce davvero rara al giorno d’oggi. Chi ha le idee e riesce a metterle in pratica vince. Ma la fotografia è anche una passione, una compagna di vita, un’arte che si può praticare senza velleità professionali e che dà enormi soddisfazioni. Parola di fotografo mancato. 😉

Un ringraziamento particolare a Marco per la sua rara gentilezza, cortesia e assoluta competenza.

Buona Luce

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Comments (1)

  1. Sanford D. Mann" rel="external nofollow">Sanford D. Mann 4 Luglio 2013 at 01:24

    MP: Non esistono delle linee guida assolute; l’abilità di un photoeditor sta proprio nel capire le esigenze de proprio giornale, nel trovare le foto giuste a seconda della situazione, dello stile della testata, delle richieste del direttore o del giornalista di turno. L’importante nel fotogiornalismo è che le foto raccontino la storia, che illustrino la notizia. Se poi si ha la possibilità di usare foto di grande qualità per raccontare la storia, meglio ancora. Quando si realizza un servizio di un certo numero di pagine, è inoltre fondamentale che ci sia una grande varietà di situazioni, di inquadrature diverse e di luci diverse nelle immagini per evitare la ripetitività.

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